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Quante tecniche energetiche servono o quanti mantra e preghiere devo imparare per smettere di soffrire e riuscire ad evolvere? Manca sempre qualcosa: forse i numeri, i simboli, i mudra, le danze… E se anche questi non bastano, certamente la soluzione me la darà l’estasi indotta dalla chimica, ma che sia naturale: non sia mai che la mia identità sia assimilabile a quella del “tossico legale”! Ma se la chimica è di provenienza naturale allora è tutto ok. Quante volte ho abbandonato una pratica per iniziarne una nuova? Mi sono domandato se prima di lasciarla l’ho studiata fondo? L’ho veramente praticata o mi sono limitato ad acquisire l’attestato di partecipazione?
A COSA SERVONO TUTTE LE TECNICHE OLISTICHE APPRESE?
La maggior parte delle persone ricorre alle tecniche olistiche per cambiare quello che non va, quello che fa soffrire. Per esempio: una condizione economica precaria, persone con cui si ha un cattivo rapporto, un’emozione che non si riesce a controllare. C’è un guasto là fuori o qui dentro e va riparato. Basta trovare il rituale adeguato o installare un programma mentale più efficiente.
PERCHE’ VOGLIO EVOLVERE?
Perché seguo tutti quei corsi anziché passare il mio weekend al mare o sulla neve? Si legge ovunque che quando la coscienza ha raggiunto almeno un certo grado di evoluzione allora si smetterà si soffrire, non si sarà più preda di emozioni tanto scomode e di conseguenza pure la vita materiale smetterà di presentare così tanti problemi. E’ tutto vero. Ma è proprio in questa fase che si commette un grave errore: si inizia a ricercare e a praticare una tecnica, qualsiasi essa sia, che sia adatta all’evoluzione della coscienza ma tutta l’attenzione viene rivolta a cancellare, sciogliere, risolvere ciò che fa stare male al fine di modellare la vita esteriore e interiore secondo i propri desideri. In questo modo si sta praticando ma non si sta utilizzando la pratica in accordo al suo vero potenziale.
PER EVOLVERE BISOGNA CONOSCERSI SEMPRE MEGLIO
Per conoscersi è necessario volerlo, costantemente, senza distrazioni.
Non c’è percorso spirituale che non passi dalla conoscenza di sé stessi, ma il percorso non lo fa la tecnica, il percorso lo facciamo noi restando costantemente focalizzati sull’auto-osservazione e sull’auto-conoscenza; la tecnica è lo strumento tramite il quale sarà più facile mantenere la focalizzazione e far fluire le energie più adeguate.
Bisogna essere coscienti che ogni tecnica evolutiva imparata serve ad andare nella direzione dell’auto-conoscenza. Per molte persone gli attestati collezionati diventano invece gli strumenti perfetti per stare lontano da sé stessi. L’idea di essere su un percorso spirituale solo per il fatto che si frequentano dei corsi è così allettante e sufficientemente distraente da far dimenticare quale sia il reale fine degli insegnamenti.

PRATICHE SCIAMANICHE
Quando si approda alle pratiche sciamaniche è facile rimanere affascinati dall’esotismo insito in esse. Ma a cosa serve rivolgersi alle proprie Guide Spirituali se si rimane prigionieri delle proprie paure e sopratutto se tali paure non sono oggetto di osservazione? Gli interrogativi: “Andrà bene questo lavoro?”, “Quale scelta devo compiere in questa situazione?”, “Per favore, fai in modo che questa persona smetta di farmi del male”, e così via, non sono domande di potere. Queste sono solo l’espressione delle nostre paure e le Guide Spirituali non sono con noi per proteggerci dai nostri limiti, ma per farceli superare mettendoceli di fronte. Cosa c’è dietro a queste domande? Cosa voglio evitare cercando, per esempio, di far andare il lavoro nel modo in cui la mia mente ha deciso sia il migliore per me?
Le domande di potere riguardano i motivi per cui si è così desiderosi che le cause (esterne o interne) della sofferenza scompaiano. La pratica sciamanica servirà veramente alla propria evoluzione se si porranno alle Guide le domande adeguate. Facilmente la sofferenza scaturisce da qualcosa di irrisolto, qualcosa che ancora condiziona l’agire e il sentire. E’ proprio lì che ci si dovrebbe riunire con le proprie Guide: nello spazio del dolore e della sofferenza. E’ solo trasformando quello spazio da ferita in risorsa che gli aspetti materiali della vita potranno prendere una piega più comoda, dato che verrebbe meno la necessità di fare difficili esperienze il cui unico scopo è di condurre le persone a guardarsi dentro.
Se si desidera evolvere è necessario fare attenzione all’intento della pratica, è indispensabile riconoscere se quello che si desidera cambiare siamo noi stessi o la situazione esterna. Anche quando l’oggetto della pratica è un’emozione che non si riesce a controllare (rabbia, frustrazione, paura, ecc.) è importante accorgersi se si sta lottando contro tale emozione o se si è invece ispirati dalla compassione e dal desiderio di accogliere con amore la causa dell’emozione che fa soffrire. Il desiderio di imparare ad amare incondizionatamente è diffuso, ma è altrettanto diffusa la volontà di sopprimere quella parte di sé che urla il suo dolore attraverso la tristezza, la rabbia, la frustrazione, l’ansia, la paura, ecc. E ciò non è per nulla amorevole.
IL MOMENTO CRUCIALE IN UNA PRATICA OLISTICA
Sebbene tutte le pratiche di evoluzione abbiano il potenziale (in misura diversa) di far circolare o attrarre una buona energia che può favorire la propria evoluzione, non accadrà nulla o accadrà ben poco affidandosi esclusivamente alla pratica: essa non svolgerà il lavoro al posto nostro.
A volte le pratiche vengono abbandonate a causa di una “stasi”: ad un certo punto sembra che non portino nulla di nuovo. Altre volte perché, dopo un iniziale benessere, hanno provocato emozioni sgradevoli. L’abbandono della pratica in questi momenti può essere una dimostrazione di quanto poco desideriamo conoscerci in profondità e di quanto preferiamo l’ebbrezza delle nuove esperienze o la fuga dalla sofferenza.
E’ proprio quando stiamo pensando di abbandonare una pratica che ci dovremmo soffermare a valutare il motivo per cui lo vogliamo fare. E’ possibile che una pratica non sia la migliore per noi, ma è anche possibile che essa ci abbia condotto in prossimità di un nodo irrisolto e che stiamo finalmente scoprendo una parte di noi sofferente che siamo pronti a vedere, comprendere e accogliere con compassione.
In definitiva, quando ci accorgiamo della nostra sofferenza nonostante la nostra pratica, prima di decidere di cambiare direzione, potremmo riflettere su come, quanto e perché abbiamo praticato e se abbiamo rivolto la nostra attenzione all’auto-conoscenza o su altro.

Libri sulla presenza:
– Eckhart Tolle – Il potere di adesso
– Eckhart Tolle – Un nuovo mondo